A fine dicembre 2019, la storia di una ragazza egiziana con il niqab della città di Farshout fece notizia nei media egiziani. La ragazza parlò dello stupro di gruppo di cui fu vittima commesso da un gruppo di uomini influenti nella piccola città di Qena, nel cuore dell'Alto Egitto. Riportò i dettagli terrificanti del suo rapimento e dello stupro di gruppo in un campo isolato.
La "ragazza di Farshout", come è conosciuta dai media, raccontò da dietro un velo - solo i suoi occhi erano visibili - del suo panico mentre ascoltava i suoi stupratori discutere su cosa avrebbero fatto con lei. Raccontò di aver visto un vero e proprio sudario che qualcuno aveva portato con lo scopo di seppellirla dopo averla uccisa. Raccontò di come riuscì a scappare dai suoi stupratori, e di come andò, quasi nuda e sanguinante, alla stazione di polizia per sporgere denuncia contro i suoi stupratori - nonostante la loro notevole reputazione - e di come condusse un'aspra lotta all'interno della sua comunità dell'Alto Egitto per ottenere "un po' di giustizia" per quello che le era successo. Raccontò dell'esplicito rifiuto di suo padre nei suoi confronti per aver denunciato i suoi stupratori, e di come fu lei a "rinnegare" suo padre a causa del poco sostegno che le aveva dimostrato, in un'insolita inversione delle tradizionali regole di relazione familiare in Egitto, dove i figli vengono solitamente rinnegati dai loro genitori e non viceversa.
La storia della ragazza Farshout non può essere pienamente compresa - per il modo in cui frantuma un gran numero di percezioni stereotipate sulle donne egiziane in generale, soprattutto le sa`idiyat (donne dell'Alto Egitto) e le donne velate - senza collocarla nel contesto della decennale lotta delle donne egiziane contro la violenza sessuale in Egitto.
Quando Noha al-Ostaz vinse la prima sentenza come querelante in un caso di molestie sessuali nel 2008, stava iniziando ad emergere una nuova generazione di istituzioni e iniziative femministe - come Nazra for Feminist Studies (Nazra per gli studi femministi - 2007) e HarassMap (Mappa delle molestie sessuali - 2010) - che mise la questione della violenza sessuale in cima alle sue priorità.
Da allora, la discussione sulla violenza contro le donne non è più appannaggio di specifici gruppi culturali, circoli politici e organizzazioni femministe e per i diritti umani, ma si è spostata ai margini del mainstream.
Il periodo a partire dal 2011 ha visto la vera e propria crescita di un movimento fluido intorno alla questione della violenza sessuale in Egitto, che ha assunto forme diverse con molteplici attori. Ci sono gruppi che hanno resistito alla diffusione della violenza sessuale durante gli eventi della rivoluzione del 25 gennaio 2011 e le sue conseguenze, come il gruppo "OpAntiSH" (Operation Anti-Sexual Harassment, Operazione contro le molestie sessuali). Ci sono gruppi che sono emersi negli anni successivi e si sono concentrati sulla diffusione di testimonianze e storie sulla violenza contro le donne, come l'iniziativa "Girls' Revolution" (Rivoluzione delle ragazze). Ci sono gruppi popolari femministi che si occupano del lavoro delle donne all'interno delle loro comunità, come l'iniziativa "Ganoubia Hora" ad Assuan e l'iniziativa "Daughter of the Nile" (Figlia del Nilo) a Damanhour.
Le ultime due iniziative, in particolare, infrangono tutte le percezioni prevalenti riguardo il movimento femminista in Egitto come limitato alle organizzazioni della società civile o ai gruppi femministi che appartengono ai più ampi circoli culturali, politici e dei diritti umani. Infrangono la percezione che la resistenza all'epidemia di violenze sessuali in Egitto, sia sotto forma di organizzazione, scrittura, ricorso alla legge che nei meccanismi più recenti di raccolta e pubblicazione di testimonianze sulle violenze sessuali, sia il dominio esclusivo di un certo tipo di donne e non di altre.
L'episodio di Farshout è solo uno delle decine di episodi recenti che hanno posto la questione della violenza sessuale al centro del movimento femminista in Egitto, grazie al lavoro di gruppi di ragazze che sollevano apertamente la questione - non come vittime che chiedono sostegno allo stato e alla società, ma come attrici e attori più strettamente impegnati nel contesto politico, sociale e legale. Quest'ultimo è storicamente complice nelle questioni di violenza contro le donne in Egitto.
Ciò a cui stiamo assistendo ora è una continua e ininterrotta esplosione di casi di violenza sessuale, sia nei circoli dell'alta borghesia come nel caso Fairmont, o come nel caso della Chiesa ortodossa copta, dove un certo numero di preti affrontano accuse di abuso sessuale rivelati da ragazze copte, o all'interno della comunità artistica e culturale e dei diritti umani - nient'altro che vivide manifestazioni della ferocia della questione delle violenze sessuali in tutti i settori della società egiziana. Le lotte femministe che stanno prendendo forma sollevano questioni critiche sulle violenze sessuali, la complicità della società e la responsabilità dello Stato su tre livelli.
Il primo livello è quello dello Stato e dei suoi strumenti legali. A livello statale, le misure decisive arrivano ancora lentamente e in risposta alla mobilitazione delle donne e alla loro pressione, come abbiamo visto recentemente dall'approvazione di un emendamento legale per proteggere la privacy di chi denuncia i crimini di violenza sessuale, o l'intervento diretto della Procura nell'arresto dei presunti colpevoli in alcuni recenti casi di violenze sessuali. Pertanto, l'attuale movimento femminista ha ancora bisogno di attivare procedure e leggi che rendano i processi nei casi di violenze sessuali un percorso più facile per le donne. L'Egitto ha ancora bisogno di una legge completa per combattere la violenza sessuale sia nella sfera privata che quella pubblica, sulla falsariga di simili riforme legali che sono state adottate in altri paesi della regione, come la Tunisia.
Il secondo livello riguarda le politiche istituzionali contro le molestie sessuali in tutti i campi che devono essere attuate, uno sforzo che giornaliste, accademiche e registe stanno compiendo, facendo pressione su varie istituzioni come le università, le aziende e le organizzazioni della stampa e dei media per far mettere in atto politiche e meccanismi chiari per combattere la violenza sessuale sul posto di lavoro.
Il terzo livello è la pubblicazione di testimonianze anonime sul cyberspazio, dove la divulgazione rompe il silenzio e mette tutti di fronte a racconti dolorosi e scioccanti. Le testimonianze delle donne, cariche di tutte le contraddizioni dello stato e della società, testimoniano il fallimento sistemico nell'affrontare i crimini di violenza sessuale. Questo è un momento cruciale di dolore, di confusione positiva, di cui la società egiziana ha disperatamente bisogno.
Hind Ahmed Zaki è ricercatrice in Scienze Politiche e studi sul Medio Oriente all'Università del Connecticut. La sua tesi di dottorato (e attuale progetto di libro) intitolata "In the Shadow of the State: Gender Contestation and Legal Mobilization in the Context of the Arab Spring in Egypt and Tunisia" (“All’ombra dello stato: contestazione di genere e mobilitazione legale nel contesto della primavera araba in Egitto e Tunisia”) ha vinto numerosi premi, tra cui il premio Best Dissertation nel campo di Gender and Politics e il premio Best Fieldwork per l'eccellenza della ricerca di tesi dell'American Political Science Association nel 2019. In aggiunta al suo lavoro accademico, è anche un'attivista nei circoli dei diritti delle donne in Egitto e nella regione.
Foto: UN Women, Flickr