Il 3 novembre lo Stato della California ha approvato tramite referendum la Proposition 22, un provvedimento sostenuto dai giganti della gig-economy [l’economia via app resa celebre da Uber] che li esenta dal classificare i loro circa 300.000 lavoratori come impiegati.
Nelle clausole della Proposition 22 è espressamente stabilito che il provvedimento non possa essere modificato se non con più dei 7/8 dei voti favorevoli del parlamento statale della California, il che rende pressoché impossibile modificarlo.
Questa misura è un’affermazione storica del potere del grande capitale. Nel caso vi fosse qualche dubbio, il successo della Proposition 22 dimostra ancora una volta come i ricchi riescano a scriversi da soli le leggi, incoraggiando a fare lo stesso gli amministratori delegati [di seguito AD] di ogni azienda americana.
Aziende come Uber, Lyft, DoorDash, Postmates e Instacart hanno sborsato 205 milioni di USD per supportare la campagna “Yes on Prop 22” (“sì alla Proposition 22”) che li esonera dagli oneri imposti dalla legislazione a tutela dei lavoratori in termini di assicurazione sanitaria, benefit di disoccupazione, sicurezza sul lavoro e altro (tra cui altri compensi come l’assicurazione sulla morte, secondo quanto riportato dal Los Angeles Times). Il fronte di opposizione alla Proposition 22, composta da sindacati e organizzazioni dei lavoratori, ha raccolto appena un decimo dei fondi, fermandosi a 20 milioni di USD.
I sostenitori del provvedimento hanno bombardato i californiani con e-mail e notifiche fuorvianti sulle proprie app nei giorni precedenti la votazione. Come ha riportato il Los Angeles Times, “Yes on Prop 22” ha speso 628.854$ al giorno: “Al mese è il budget speso durante un’intera raccolta fondi per le elezioni presidenziali in 49 dei 53 distretti dello Stato [ogni distretto nomina un rappresentante federale nel Parlamento federale statunitense] ”. Oltre ad aver coinvolto 19 aziende di pubbliche relazioni, molte delle quali si sono fatte un nome lavorando per alcune multinazionali del tabacco, i giganti della gig-economy hanno anche optato per il supporto della NAACP (National Association for the Advancement of Colored People) una società di consulenza amministrata da Alice Huffman per il sostegno delle persone di colore, lautamente compensata con 85.000$, grazie alla quale si sono state cinicamente presentate come difensori della giustizia razziale, dato che il provvedimento ridurrà ancor più in miseria i loro collaboratori, in Italia noti come driver e rider, per lo più appartenenti alla popolazione afroamericana.
Questa cascata di denaro ha reso la Proposition 22 non solo il referendum più costoso della storia della California, ma degli interi Stati Uniti d’America.
Il cuore del provvedimento esenta le aziende della gig-economy dalla AB 5 (Assembly Bill 5), una legge statale che impone alle aziende di riconoscere lo status di lavoratore dipendente sulla base del “test ABC”.
Portato alla ribalta per la prima volta presso la Corta Suprema della California durante il caso Dynamex, lo standard ABC afferma che un lavoratore è dipendente “se il suo lavoro è parte integrante degli affari dell’azienda, se il responsabile segue e indirizza il lavoro svolto o se il lavoratore non è un libero professionista dichiarato”.
Nonostante gli AD di queste aziende insistano sul fatto che il fatturato delle loro aziende si basi su piattaforme online piuttosto che su una forma di lavoro dipendente, i driver e rider della gig-economy rientrano chiaramente nei canoni specificati dal test ABC. Si spiega quindi la pressione mediatica esercita per far approvare la Proposition 22.
È una questione esistenziale per queste aziende, e si capisce il perché di questi copiosi investimenti per assicurarsi un voto favorevole. Nessuna di queste è in attivo: Uber, ad esempio, ha perso 4,7 miliardi di USD nella prima metà del 2020. Tutto il suo modello di business si basa sulla vitale questione dell’arbitrato del lavoro: non sarà mai in attivo fino a che la guida automatica renda inutile il lavoro dei driver e dei rider. Ciò vuol dire, realisticamente, che non lo saranno mai, data la distanza che separa questa tecnologia dall’adozione su larga scala. Tuttavia nel frattempo, queste aziende vivono costantemente in perdita, sostenute da capitale di rischio, evadendo dalle loro responsabilità di datore di lavoro.
La mattina del 4 novembre il costo delle azioni di Uber è aumentato del 9%, mentre quelle di Lyft del 12%.
Nel caso in cui queste aziende dovessero attenersi alla legislazione del lavoro, fallirebbero. Per esempio, come riportato dal quotidiano Prospect, il rifiuto di Uber e Lyft di contribuire al fondo di disoccupazione ha risparmiate alle due aziende “un totale di 413 milioni di USD dal 2014”. Invece di rispettare la legge pagando contributi e dando protezione, queste aziende dovranno solamente offrire una copertura limitata e un salario di 5,64$ all’ora, invece dei canonici 13$ orari minimi commisurato ai lavoratori dipendenti in accordo alla legislazione statale, secondo una ricerca del Labor Center della UC di Berkeley (centro di ricerca sul lavoro dell’università californiana).
Ma c’è motivo di credere che questa storica vittoria non sarà sufficiente a salvare Uber. L’azienda, la più visibile dei parassiti della gig-economy, sta affrontando dure proteste negli Stati Uniti così come in tutto il mondo.
Come riportato da Edward Ongweso Jr., sia il governo statale che federale stanno combattendo per far pagare a Uber i miliardi di tasse evase. Nel 2019, nello stesso giorno del lancio del titolo azionario dell’azienda, uno sciopero dei lavoratori statunitensi trovò il supporto dei colleghi di Brasile, Messico, Cile, Argentina ed Ecuador.
“Uber sta perdendo cause legali in Francia, Regno Unito, Canada e Italia dove i più alti gradi della giustizia, se non hanno già stabilito che i loro driver e rider sono lavoratori dipendenti, hanno almeno lasciato la porta aperta a cause legali per riclassificarli come tali” scrive Ongweso Jr.
Anche se i sostenitori della Proposition 22 fossero destinati al fallimento - che tuttavia non aiuterebbe l’esercito di driver e rider che si basa sull’algoritmo di Uber per pagare il proprio affitto - questa tendenza alla riduzione degli oneri aziendali verso i dipendenti non è unica della gig-economy.
L’industria della tecnologia è caratterizzata da queste decisioni di arbitrato sul lavoro e sfrutta ogni possibile cavillo legale. Affermano che questo è il prezzo dell’innovazione. E ciò non ha conseguenze solo per i colletti blu: gran parte della forza lavoro di Google, in maggioranza colletti bianchi, è composta da consulenti indipendenti. Questo è il futuro che ci aspetta se la Silicon Valley non ha nulla da obiettare.
La consacrazione di una nuova categoria di lavoratori, i cui tanto agognati diritti non sono rispettati da nessuno, non sarà un fenomeno circoscritto alla sola gig-economy californiana. Da quando il risultato della Proposition 22 è stato reso noto la notte del 3 novembre, gli AD delle aziende vittoriose hanno annunciato di voler estendere tale modello all’intera nazione. “Ora ci concentreremo sul paese intero, per sponsorizzare nuovi benefici che siano locali, proporzionali e flessibili” ha affermato l’AD di DoorDahs Tony Xu dopo l’approvazione del provvedimento.
Lyft ha celebrato con una email l’approvazione chiamandola “un passo straordinario verso la creazione di una ‘terza via’ verso l’affermazione dei lavori indipendenti negli Stati Uniti”. “La Proposition 22 è il futuro del mondo del lavoro in un’economia sempre più a trazione tecnologica” è il proclama pubblicato sul sito di “Yes on Prop 22”.
C’è scarsa organizzazione nell’opposizione a questi AD e nel loro intento di federalizzare questo successo. Queste aziende hanno lanciato la loro offensiva nel distretto di Nancy Pelosi ma la speaker della Camera non ha dato priorità alla battaglia. Mentre Joe Biden e Kamala Harris hanno affermato la loro opposizione alla Proposition 22, è poco credibile che Biden si rimbocchi le maniche per combattere questa battaglia se non per uno spot presidenziale, e la Harris ha interessi inediti nella Silicon Valley.
Arrivando persino ai membri della sua famiglia: Tony West, suo fratellastro e membro di alto livello dell’amministrazione Obama, condusse la difesa legale delle aziende della gig-economy dalle accuse di declassificazione [di un lavoratore da dipendente a libero professionista].
Nessuno salverà i lavoratori. Il futuro dipende dalle capacità di organizzazione della stessa classe lavoratrice per la difesa dei propri diritti, nonostante il fiume di capitali investiti per fermarli. L’unione dei lavoratori, nei sindacati e non, dipendenti e indipendenti, non è stata mai così impellente. Se c’è una cosa che l’approvazione della Proposition 22 ci insegna, è che il futuro della già limitata democrazia americana dipende da questa unione.
Alex N. Press è assistente redattore alla Jacobin. I suoi scritti sono apparsi sul Washington Post, Vox, the Nation e n+1, tra gli altri posti.
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