Migration

Il sindaco pro-rifugiati Mimmo Lucano, attraverso le sue stesse parole

Nel settembre dell’anno scorso, un tribunale italiano ha condannato Mimmo Lucano ad una pena scioccante di 13 anni e due mesi di prigione per il crimine di aver aiutato i più bisognosi: i rifugiati.
In questa intervista esclusiva con il team di PI's Wire, Mimmo Lucano parla del 'modello Riace', della sua persecuzione e dei suoi ideali politici, e del perché una serie televisiva italiana su Riace è stata cancellata.
In questa intervista esclusiva con il team di PI's Wire, Mimmo Lucano parla del 'modello Riace', della sua persecuzione e dei suoi ideali politici, e del perché una serie televisiva italiana su Riace è stata cancellata.

Nota della redazione: Il comune di Riace può essere considerato piccolo, ma con il sindaco Domenico "Mimmo" Lucano è diventata nota in tutto il mondo - per ogni buona ragione. Durante i decenni del dopoguerra, gli abitanti di questo paese calabrese sono crollati da 2.500 a soli 400, soprattutto a causa dei locali che emigravano in cerca di lavoro. Questa tendenza è stata invertita sotto la guida di Mimmo quando, di fronte ai crescenti arrivi di rifugiati sulle coste dell'Italia meridionale, Riace è diventata nota come un "modello" di integrazione. L'anno scorso, però, Mimmo è stato condannato a tredici anni e due mesi di carcere per il reato di aver aiutato esseri umani in difficoltà. Il team di PI's Wire ha parlato con Mimmo del "modello Riace", della sua persecuzione, dei suoi ideali politici e del perché una serie televisiva italiana su Riace è stata cancellata.

Che cos'è il 'modello Riace'?

Il modello Riace è una cosa molto semplice. I paesi abbandonati dall’emigrazione - ovvero il fenomeno degli ultimi decenni che vede grandi numeri di persone lasciare la Calabria – vengono chiamati ‘aree fragili’. Sono paesi interni dove non c'è quasi più nessuno. Riace era destinata a fare questa stessa fine - anche i miei figli se ne sono andati via. Quando ci fu il primo sbarco dei rifugiati curdi nel 1998, ospitare questa gente è stata una situazione quasi naturale, addirittura suggerita da uno dei rifugiati. Diceva: “questi luoghi sono molto simili al Kurdistan. Vogliamo rimanere qua. Il nostro progetto migratorio si può concludere a Riace”. Si guardava  intorno, c'era silenzio, e soggiunse: “Ma perché non chiediamo?” E io ho chiesto. Ne ho parlato con il vescovo, il signor Brigantini, il quale mi disse che era ‘un’intuizione profetica’. È stata questa partecipazione e validazione che ha dato profondità alla questione per me, non solo nella specifica circostanza, l’arrivo e la gestione delle persone, ma sul piano della coscienza politica. Mi rendevo conto che il vescovo condivideva la stessa visione di tutto quello che avevo immaginato in termini di uguaglianze sociali e di fraternità. 

Questa storia nasce anche perché, per il vescovo, tutto era possibile.  E nasce in un periodo in cui in questi paesi della Calabria, tutti, anche i giovani, ripetevano: “Ormai ce ne dobbiamo andare” - una sorte che ha toccato tutte le famiglie di Riace. Il signor Brigantini aveva acceso una speranza, una luce. Mi ha dato entusiasmo. Ecco perché mi sono interessato anche alla questione amministrativa, però non da sindaco ma come consigliere comunale. Poi le circostanze hanno fatto sì che diventassi sindaco nel 2004, poi nel 2009 e nel 2014. Allora ho fatto tutto quel percorso da protagonista mentre i flussi migratori aumentavano. Io e le politiche dell’immigrazione e dell'accoglienza ci siamo quasi incrociati per caso. Era veramente come un destino.

Un altro segno del destino è stato incrociarsi con la Lega di Matteo Salvini?

E’ stato il destino non solo dell’Italia, ma anche dell’Europa.

Io credo che a Riace si scontrano due linee di pensiero. Salvini sostiene che come sindaco non mi preoccupo di quel che faccio. Ora, Riace è un comune di soli 500 abitanti -  un numero insignificante in un paese grande come l'Italia: perché se ne è preoccupato?  Perché il messaggio di solidarietà e fratellanza è universale. Non ha confini. Soprattutto quando viene da una terra che non ha niente per sé, dove tutti vanno via. 

Io non sono tesserato con un partito. Ho sempre pensato che la radicalità della sinistra non sia intrinsecamente legata alla forma del  partito politico. Fare politica non è solo interessarsi alle elezioni, tutto è politica. È una condizione della società, delle relazioni umane e delle scelte che si fanno per contribuire a costruire qualcosa.

Sarebbe stato più facile dire ai rifugiati di 'andare via', ma il vescovo mi ha insegnato che ogni persona che entra dalla porta, ogni straniero, può essere un dio. Questo è quello che ci hanno insegnato - è la cultura dell'antica Magna Grecia, no? Salvini mi ha accusato di essere il sindaco che "vuole colonizzare e riempire questi posti di immigrati, di gente dell'Africa".  

Perché questa accusa, cosa voleva dire?

Si opponeva fondamentalmente all’intrapresa di un tale programma politico in un luogo colpito dall'emigrazione.

In risposta posso solo dire che a un certo punto durante il mio mandato da sindaco,  la questione dell’immigrazione è diventata l’azione trainante e la missione di tutta la governance locale. Per esempio, i progetti avviati coinvolgevano tante persone che non lavoravano. Si creavano speranze. E io ho creduto a un’occasione per contribuire a migliorare il mondo. 

Perché la gente si è tanto interessata a Riace, fino a farle raggiungere una fama internazionale?

Come ho detto prima, a Riace si scontrano due ideologie. Da una parte c'è l'idea della fratellanza, della solidarietà, della spontaneità. Dall’altra c’è l’idea dell’egoismo e del ‘veniamo prima noi’. Ma è inaccettabile che uno possa dire “io vengo prima di un altro essere umano”. Tutti facciamo parte della stessa terra. Tutti abbiamo, secondo me, gli stessi diritti. Le stesse speranze per il futuro. Per questo la gente s’interessa alla questione di Riace.

Può raccontarci come è nato il progetto e come sono nate le accuse contro di lei?

I problemi giudiziari sono iniziati nel 2016 ma la storia inizia nel 1998 quando sono sbarcati i profughi curdi e a Riace è nato un sistema spontaneo di accoglienza dei rifugiati. All’epoca io non ero sindaco, ero solo un volontario, ma sono stato io la persona che, parlando con parenti a Buenos Aires e in America del Nord, ha trovato le case e insieme abbiamo creato un centro di accoglienza nel borgo spopolato. Siamo stati i pionieri di un'accoglienza spontanea: Riace nasce in questo modo, quando ancora non c’erano progetti ufficiali.

Nel 1999 sono diventato consigliere di minoranza del Municipio di Riace. Era nata questa associazione, Città Futura, dove abbiamo riutilizzato il metodo di dare case abbandonate ai rifugiati come avevano già fatto a Stignano e in altri comuni della regione. Abbiamo vagheggiato Tommaso Campanella, un frate dominicano che scrisse La città del sole - un'opera utopica. Riace è casale di Stilo,  dove lui nacque. Campanella scrisse “ Io nacqui a debellar tre mali estremi: tirannide, sofismi, ipocrisia”: così nasce Città Futura.  

Nel 2002, per la prima volta in Italia, ci fu un bando nazionale per promuovere l’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo promosso dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati  (UNHCR) oltre che dal Ministero dell’Interno. Come consigliere di minoranza mi sono fatto carico dell’accoglienza sulla base dell’esperienza che avevo vissuto nell’ospitalità dei rifugiati curdi nel ‘98. La mia preoccupazione iniziale era il benessere di questo territorio, destinato a scomparire. Il destino della mia famiglia, di tutta Riace, era segnato dall’emigrazione. Il mio primo pensiero è stato questo. 

Cosa avete cercato di fare di diverso a Riace per accogliere i rifugiati? 

L'Italia ha cercato di creare un sistema nazionale di accoglienza con Roma come punto di riferimento nazionale per i comuni partecipanti. Ho insistito perché il comune partecipasse e, nel luglio 2001, è iniziata ufficialmente l'accoglienza dei rifugiati a Riace. I primi tre comuni che parteciparono al bando del Ministero dell'Interno furono Riace, Isola di Capo Rizzuto e Badolato. Non a caso sono tutti calabresi, accomunati da una storia di sbarchi di rifugiati. La nostra innovazione è stata dimostrare che era possibile offrire ai rifugiati che arrivano qui l’opportunità di partecipare a un progetto ancorato alla solidarietà.  

In quel periodo, oltre ai curdi, cominciarono ad arrivare i primi gruppi di persone dall'Africa subsahariana, soprattutto donne dall'Eritrea e dall'Etiopia. Nel 2004, sono diventato sindaco di Riace sulla base della mia precedente esperienza e poi la gente ha iniziato a incuriosirsi a quello che succedeva a Riace. Avevano visto come i turisti venivano lì per capire come un piccolo posto in Calabria fosse diventato così solidale con i rifugiati. È diventato come un'attrazione turistica: si potrebbe quasi dire che il turismo solidale è nato qui a Riace.

Quando è iniziato il suo ampio successo elettorale?

Non nelle elezioni del 2004 perché all'epoca c'erano quattro liste. La seconda e la terza volta, nel 2009 e nel 2014, le cose sono andate meglio. Nel 2016, la rivista americana Fortune mi ha inserito nella lista dei "50 più grandi leader del mondo", e questa storia ha fatto il giro del mondo.  Volevano anche fare una fiction su Riace con l’attore Beppe Fiorello: si sarebbero create tante attenzioni su Riace. In parallelo, in quel momento c'era particolare attenzione sulla politica dell’immigrazione. Le televisioni private cercavano di fomentare una forma di isteria collettiva dipingendo l'immigrazione come il vero male della società italiana che non ci permette di progredire.

Hanno fatto la serie tv?

La serie tv è stata bloccata. L’hanno realizzata ma non l'hanno mai mandata in onda. Tutto ciò è  successo perché il senatore Gasparri di Forza Italia ne ha richiesto la sospensione. I miei avvocati, che mi difendono gratuitamente e tra i quali c’è l'ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, sostengono che uno degli obiettivi della costruzione di una causa giudiziaria contro di me era proprio quello di impedire che questa serie si facesse. Quindi è stata sospesa in attesa del processo giudiziario perché erano preoccupati di trasmettere in prima serata una serie che mostrava un progetto di accoglienza di rifugiati di successo a circa sette-otto milioni di italiani, che avrebbero visto che il modello Riace è possibile.

Qual è stato il motivo di questa persecuzione politica e culturale del modello Riace?

Il modello Riace sa che cosa è stato? L'accoglienza e l’ospitalità diffusa, dove ognuno ha la sua casa. Il dibattito sul diritto di abitare nei luoghi spopolati è una cosa banale, perché è così palese che conviene al territorio. Perché teniamo le case chiuse? A che cosa servono? Alla fine si degradano, piove dentro e c'è il vento.

Per questo ribaltavo la questione. Sono convinto che quello di avere una casa sia un diritto di tutti gli esseri umani. Come possiamo pensare di creare luoghi assurdi come le baraccopoli quando abbiamo case vuote? Fare accoglienza diffusa nei luoghi dove il ciclo migratorio non si è del tutto concluso significa che ci sono ancora persone che appartengono a quella cultura contadina, e si creano quindi rapporti spontanei e solidali con i vicini di casa.

Non c’è a Riace un luogo particolare “dell’accoglienza”, non c’è una demarcazione, è tutta la popolazione. La terra appartiene a tutti. Io ero sindaco: che cosa ero se non uno dei tanti cittadini? Come potrei pensare di dover avere qualcosa in più? Per me è una cosa assurda.

Può spiegare come funzionavano i "bonus", una sorta di moneta locale che avete creato per aiutare i rifugiati?

A un certo punto i numeri dell’accoglienza in Italia si dilatano. I flussi migratori diventano più importanti e più consistenti. Questo avveniva anche a Riace, così siamo passati da un unico ente gestore, Città Futura, ad avere sei o sette enti gestori. Come sindaco, è stato un po' più difficile, perché non è facile fornire un valore sociale e mantenere un ideale, soprattutto quando la nostre società è strutturata intorno al profitto. Volevamo assicurarci che i rifugiati avessero qualcosa, ma i programmi del ministero erano sempre in ritardo nell'inviare i fondi per i progetti di accoglienza dei rifugiati. Ecco perché ho creato il sistema dei bonus.

Il sistema di bonus era una copia di un progetto realizzato al Parco dell'Aspromonte in Calabria che ha istituito una moneta locale chiamata 'Eur Aspromonte'. Era usata principalmente per promuovere il turismo con un ufficio di cambio dove si compravano questi 'Eur Aspromonte' con soldi veri. Avevi poi diritto a uno sconto quando li spendevi nei villaggi del Parco dell'Aspromonte per stimolare l'economia locale.

Volevamo fare qualcosa di simile con i buoni pasto che venivano forniti. Ho pensato: diamoli direttamente nelle mani dei rifugiati e si comprino quello che vogliono. Ogni rifugiato ha ricevuto 200 euro e il progetto ha funzionato bene perché abbiamo dato loro libertà.  È stata un’innovazione ma si sono tutti scandalizzati - giuristi e professori universitari hanno fatto uno studio sulla mia vita, però emergeva sempre una linea di continuità con un'idea solidale. Non è il lavoro della mente di un criminale. Mi hanno condannato a 13 anni e 2 mesi come se avessi fatto un omicidio.

Quali fattori pensi che ti abbiano portato ad avere problemi giudiziari?

Uno dei problemi è partito da quando hanno implementato la somma dei €35 euro pro-capite e pro-diem per ogni rifugiato: una decisione assurda dei burocrati. Nei progetti, non ci si può limitare a svolgere solo la fase ordinaria dell’accoglienza, ma si deve anche tentare di costruire dei programmi di integrazione.Avevo questa idea di fare sia la fase ordinaria, sia la fase dell’integrazione, e addirittura anche le borse di lavoro per rifugiati: i progetti del frantoio oleario, la fattoria sociale, i laboratori di artigianato, le case per il turismo dell'accoglienza. Ora mi accusano come se avessi fatto peculato, pur dicendo: “no, il sindaco non ha toccato soldi personali - però c’è una distrazione amministrativa”. Ma non è vero! Un terribile equivoco ha portato a questo disordine e, secondo me, questo disordine è dovuto anche a difficoltà burocratiche.  Intanto non ho fatto nulla per me stesso o il mio arricchimento personale - anzi in un certo senso mi sono indebolito. 

Tutti i giudici che hanno letto le carte, inclusa la procura stessa che era così agguerrita - avevano proposto sette anni. Invece hanno raddoppiato la sentenza. La cosa strana è che la condanna più pesante è il peculato - pur avendo le trascrizioni del colonnello della Guardia di Finanza che diceva: “No, questo sindaco soldi non ne ha toccati, non ha conti correnti, non ha proprietà, non ha nulla, le intercettazioni dimostrano che aveva solo l’interesse di un ideale dell’accoglienza”. Le cose che ho fatto come sindaco a Riace, come il frantoio o la fattoria sociale, hanno solo arricchito il territorio. Ma alla fine l'hanno trasformato in un reato penale e addirittura in un presunto abuso di potere a causa dei cosiddetti soggiorni di lunga durata.

Come entrano in scena i soggiorni di lunga durata e l’accusa di abuso d’ufficio?

I soggiorni di lunga durata sono stati stabiliti dalle linee guida del ministero e prevedevano che i rifugiati rimanessero nei centri di accoglienza per un massimo di sei mesi. Ma questo è un sistema assurdo. Prima il Ministero dell'Interno mi ha chiesto aiuto per trovare contatti e poi mi ha abbandonato quando gli conveniva. Mi hanno detto che c'era un numero molto alto di arrivi e nessun posto dove mettere le persone perché il centro e il nord Italia non li volevano. Il Prefetto, Mario Morcone, dice “Sindaco la aiutiamo”. Ma come mi ha aiutato? Mi ha lasciato quando gli conveniva. Poi mi dicono che dopo sei mesi devo cacciare le persone nonostante il fatto che mi chiamavano a settembre per aiutare con le collocazioni - quando alla fine dell’estate c'è il numero degli sbarchi più alti. A Riace conveniva mantenere il liceo scolastico con i figli dei rifugiati che arrivavano. Invece, volevano che seguissi le linee guida stabilite dai burocrati. Per questo ancora oggi dico: "Perché non facciamo tutti una discussione aperta su questo?

Quindi è stato un pesante scontro tra moralità e legalità? Che impatto ha avuto sul diritto all'educazione per i bambini?

Se loro mi dicono che devo cacciare le persone dopo sei mesi quando c'è un aumento di sbarchi a settembre, cosa facciamo? Li integriamo nelle scuole e poi li cacciamo di nuovo a febbraio, privandoli della loro istruzione?  

Quando dicono che ho disatteso la legge non è vero, anche se sì, ci sono state certe disattenzioni - ma è importante notare che questa non era una legge. Non credo che la legge si possa disattendere, ma questa parola 'legalità' mi fa pena. Tutti parlano di legalità, ma la legalità è anche amica del potere politico: era legalità l’apartheid? Il Terzo Reich era legalità? Mussolini?  La legalità in questo senso è una strategia di potere. Mi sorprende che ci siano anche organizzazioni del terzo settore che si sciacquano la bocca con questa parola 'legalità'.  Legalità può voler dire che devi essere coerente con lo status quo, con chi comanda. I decreti-sicurezza di Salvini non erano legalità? Ha ragione Salvini? La disumanità può essere legalità. Molti dicono:  ‘ma così ognuno si fa un codice giuridico’. Ma non è questo che è successo a Riace. Quello che cercavo di fare li infastidiva soprattutto perché ai loro occhi il progetto di accoglienza doveva essere perfettamente in linea con le linee guida stabilite. Ma ovviamente non posso accettare di cacciare i bambini dal territorio e dal sistema scolastico. Questo io l’ho disatteso con convinzione.

Come risponde alle critiche secondo cui ha usato il sistema di accoglienza dei rifugiati per trarne profitto politico?

Mi chiedo sempre: “Ma io quale utilità ho avuto da questa storia?”. Nessuna, a parte il rispettare le persone e soprattutto i bambini. Semmai mi sono indebolito come sindaco. L'equivoco nasce dal tentativo di creare un sistema di accoglienza dei rifugiati diffuso e basato sulla libertà, creando borse di lavoro, e anche di favorire una comunità multietnica come modello di integrazione.

Qui c’è assenza dello Stato, non ci sono le fabbriche e le industrie del nord, c'è una realtà di assistenzialismo, una realtà di dominio delle mafie. C'è il nulla. Abbiamo dovuto fare i laboratori per tutte le cose che hanno un profilo sociale - nulla è privato - anche per necessità. Questo è il modello Riace.

Foto: Flickr

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Author
Wire Team
Date
21.03.2022
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