Culture

Tecnologia per la maggioranza globale

Burcu Kilic e Renata Avila discutono di come il Sud globale debba pensare strategicamente per rivendicare la sovranità digitale nell’era di Trump.
Il posizionamento dei CEO del settore tecnologico alle posizioni di Trump non è ideologico, ma una scommessa di espandere la sorveglianza dei loro imperi capitalisti, smascherando la fiducia mal riposta nelle Big Tech come difensori della democrazia. Con la Silicon Valley pronta sotto Trump a sfruttare le regole del commercio globale, è necessaria un’azione urgente e coordinata per resistere a una dipendenza digitale e reclamare una propria sovranità tecnologica.

È indicativo poter vedere lo shock di molti all’interno della comunità degli analisti tecnologici per il posto di rilievo occupato dai CEO del settore tecnologico all’inaugurazione di insediamento del presidente Donald Trump, abbracciando la nuova amministrazione e allineandosi con i valori MAGA (Make America Great Again), a cui essi stessi una volta dichiaravano di opporsi. Non è chiaro se si tratti solo di ingenuità o di una disconnessione dalla realtà dell'ordine mondiale capitalista basato sulla sorveglianza.

Questa improvvisa dimostrazione di affetto verso Trump da parte dei CEO del settore tecnologico non è necessariamente radicata in valori condivisi o in una vicinanza ideologica di lunga data. Mentre Elon Musk è il braccio destro del presidente e il suo più grande sostenitore e il fondatore di Meta e CEO Mark Zuckerberg è chiaramente all’interno del “tendone”, figure come il CEO di Google Sundar Pichai e il CEO di Apple Tim Cook erano presenti molto probabilmente per ragioni più calcolate. Ciò nonostante i titani del capitalismo della sorveglianza sono tutti motivati da un singolare programma: preservare ed espandere i loro imperi negli USA e a livello globale.

Per anni, molti esponenti del governo, della società civile e del mondo accademico hanno visto questi colossi come i difensori della libertà di parola, dei diritti umani e di un internet libero. Alcuni addirittura li indicarono come rappresentanti dei valori progressisti. Molti gli si affiliarono, affidandosi ai loro capitali e sottovalutando il loro modello sorvegliante di business capitalista, fondato sulla raccolta e monetizzazione illimitata dei dati. Questi soggetti ignorarono il legame stretto con il potere politico e la loro connessione con le forze dell’ordine e la sicurezza nazionale, la loro dubbiosa avventura in politica e il loro enorme investimento per attività di lobbismo. Ancor peggio, congedarono e ignorarono coloro che a lungo avvertivano quanto “il re fosse nudo”.

Le ultime settimane sono state difficili per i difensori della Big Tech. Questi, specialmente i capi di Sato che hanno firmato accordi e posato per le foto insieme ai responsabili che ora rappresentano una minaccia diretta ai loro cittadini, alle democrazie e alla sovranità digitale. Benvenuti nella dura realtà del capitale e della politica!

Si poteva evitare.

La triste realtà è che molto poteva essere evitato (almeno in una certa misura) se coloro che nei governi hanno ceduto alla trappola della trasformazione digitale, insieme al mondo accademico, ai think tank,  alle organizzazioni di difesa e alla politica (in particolare i democratici filo-aziendali negli USA e i politici neoliberali in altri paesi) avessero riconosciuto e ammesso i rischi nel dare potere ai colossi che ora criticano e disonorano.

Ci sono state molte mancate opportunità per creare miglioramenti significativi nella limitazione del potere delle Big Tech e indirizzare sfide sociali chiave come la privacy, la protezione online dei minori, i diritti dei lavoratori, la regolazione dell’IA e la sopravvivenza di piccoli editori e media locali. Gli sforzi legislativi e regolatori hanno dovuto affrontare una forte resistenza delle aziende tecnologiche e dei loro lobbisti, così come della più ampia comunità di politica tecnologica, del mondo accademico, dei think tank e dei circoli di difesa. Molta della resistenza era guidata da interessi personali e priorità economiche, - è difficile combattere gli imperi tecnologici mentre si prendono i loro stessi soldi. Queste stesse aziende, in particolare Meta, erano una volta sostenitori e fondatori di quello che MAGA proprio ora chiama “programma woke”. Queste lotte non servono più agli interessi di Meta dopo che Zuckerberg ha scoperto i benefici della cultura “bro” e ha scartato le politiche DEI (Diversità, Equità, Inclusione). Ma non importa: Meta continuerà a finanziare le organizzazioni per lavorare sull’“open washing” dell’IA ora, date le ultime priorità aziendali.

Queste aziende strategicamente hanno virato le discussioni sulle politiche mentre finanziavano organizzazioni a condurre ricerche, sostenendo varie cause oscillando dalla trasparenza alla sicurezza dell’etica dell’IA. Mentre i capitali scorrevano per la cosiddetta iniziativa “woke”, trasparenza sicurezza ed etica dell’IA, il tappo fu poi chiuso per sostanziali discussioni sul quadro normativo o sui regolamenti vincolanti e applicabili nel settore tecnologico. Questo è il modo in cui queste aziende e i loro brillanti e ben vestiti dirigenti politici, molti dei quali strappati direttamente alle organizzazioni della società civile, ai governi o alle istituzioni delle élite accademiche, hanno plasmato il paesaggio regolamentativo per molti anni.

Per molti, questo è il momento del “te lo avevo detto”. Attivisti che si rifiutavano di ”fare affari” con le Big tech- molti facenti parte di comunità marginali e geograficamente al di fuori dell’Europa e degli USA - sono sempre stati esclusi ed esonerati dalle decisioni sulle normative tecnologiche. Speriamo ora sia arrivato il tempo della riflessione e del pentimento così che tra qualche anno, invece di dire “te lo avevo detto” potremmo dire “l’abbiamo visto arrivare e insieme ci siamo preparati”.

Il capitalismo della sorveglianza si espanderà nell’era Trump.

Indubbiamente, l’amministrazione Trump sarà probabilmente la più accogliente con i magnati del settore tecnologico dai tempi di Obama. Questa stretta alleanza porterà probabilmente a nuove e imprevedibili pressioni sugli stati in via di trasformazione digitale e sui loro sforzi, in particolare nel Sud globale.

Dato lo stile transazionale di Trump e il suo approccio “American first”, la politica estera della sua amministrazione e la sua agenda digitale verrà formata probabilmente da una coercizione economica e dai dazi. Non c’è dubbio alcuno che i giganti della Silicon Valley sfrutteranno pienamente questo approccio. Trump ha già criticato il trattamento “molto ingiusto” delle compagnie statunitensi nel mercato europeo, menzionando difficoltà a portare prodotti nell’UE. Le aziende tecnologiche probabilmente sfrutteranno le politiche commerciali per rafforzare la loro dominanza nei mercati emergenti, spingendo per la deregolamentazione e innescando una adozione globale dei loro prodotti e servizi nel settore pubblico. La dominanza delle compagnie statunitensi nel campo dell'intelligenza artificiale e il suo mercato globale dipende pesantemente dal controllo totale che detengono sull’estrazione di dati in larga scala, che si traduce in controllo globale sulla creazione di conoscenza e sulle tendenze al consumo.

Con questi cambiamenti radicali nello sviluppo e nell'agenda del commercio, i giganti americani sono ben posizionati nel solidificare la loro posizione come fornitori esclusivi di infrastrutture digitali, gestendo intere economie in modo digitale e diventando di default fornitori per i paesi ancora in via di digitalizzazione. Le loro ambizioni non finiscono qua; spingeranno ulteriormente per una integrazione verticale dei loro servizi, permettendo un predominio regionale e un controllo sulle economie digitali con pochi obblighi in tasse e regolamentazioni, lasciando i beneficiari governativi a sostenerne i costi. Questa traiettoria minaccia di indebolire la sicurezza e la sovranità tecnologica locale e nazionale, lasciando i paesi più vulnerabili che mai a pressioni politiche e militari legate alle principali infrastrutture digitali .

Pensare strategicamente, agire collaborativamente.

Questo non deve essere un momento di passività, ma un tempo per un'azione politica decisa. Coloro che sono preparati saranno i più equipaggiati per affrontare le sfide che ci si presenteranno.

Paesi senza una politica industriale digitale chiara, ad ogni modo sono i più vulnerabili per la emergente “broligarchia” (un nuovo ordine politico dominato dai “fratelli” del settore tecnologico). Senza un'agenda propositiva e obiettivi ben definiti, questi paesi rischiano di accettare silenziosamente le politiche digitali e le imposizioni commerciali, e le richieste di deregolamentazione, rinchiudendosi in impegni commerciali a lungo termine e in una dipendenza tecnologica che ostacola gli sforzi per uno sviluppo sostenibile e lascia la loro classe lavorativa e i loro consumatori vulnerabili, la loro governance debole e la loro sovranità nazionale lacerata. La finestra di opportunità per uno sviluppo indipendente e strategico delle politiche industriali per la trasformazione digitale si sta rapidamente chiudendo.

Sfortunatamente, passività e confusione prevalgono nei nostri paesi. Man mano che lo spazio politico si riduce, molti dei tentativi esistenti di aggiornarsi da parte della maggioranza globale rimangono fuorvianti. I governi continuano a fondere le politiche industriali digitali con la digitalizzazione, arrivando a una non necessaria privatizzazione dello spazio pubblico e dei servizi, alla condivisione dei dati pubblici e alla profonda dipendenza tecnologica e infrastrutturale dalle compagnie tecnologiche capitaliste di sorveglianza.

La società civile rimane distratta dai processi multilaterali e con più parti interessate non vincolanti che finiscono in dichiarazioni mai lette a Washington. Organizzazioni che operano nell’orbita delle Nazioni Unite e altre entità multilaterali sembrano completamente inconsapevoli delle diverse e nuove regole del gioco. Diversamente dal primo mandato di Trump, le aziende tecnologiche hanno ora un protocollo per influenzare con il loro potere lobbistico. Si stanno posizionando strategicamente più vicine al centro del potere. C’è per loro un piccolo ritorno di poco conto  nel farsi coinvolgere nella discussione globale sulle normative o sulle iniziative delle Nazioni Unite sull’intelligenza artificiale. Possono semplicemente bypassare questi forum e focalizzarsi sull’imposizione dei loro termini contrattuali direttamente nelle trattative commerciali.

I prossimi anni saranno cruciali per i paesi a basso e medio reddito. Costoro hanno una possibilità: stare con lo status quo, affidandosi alle infrastrutture dei Big Tech e intensificandone la dipendenza  mentre si fingono passi avanti sulla governance digitale e sull’AI che di fatto non portano da nessuna parte, oppure intraprendere azioni decise per trasformare la propria politica nazionale industriale e costruire una propria resiliente infrastruttura digitale e degli ecosistemi  di IA per i cittadini e il pianeta.

Questa non è una trasformazione facile. Richiede una politica coordinata, un approccio globale, un’estesa politica di intervento, risorse finanziarie sostanziali, strategie ben fatte, e una forte volontà politica. Invece di cadere in strategie globali slegate e uguali per tutti, gli esperti e accademici locali devono collaborare con i governi per sviluppare strategie creative e concrete per indirizzare la varietà delle sfide a venire, dal ridurre il proprio affidamento all'infrastruttura digitale straniera alla promozione di una integrazione verticale di una serie di diverse tecnologie oltre quelle dettate dalla Silicon Valley.

Il tempo sta scadendo.

Prima questi sforzi iniziano, meglio sarà, in quanto lo spazio della politica si sta rapidamente restringendo. Tuttavia, con ben costruite politiche proattive fermamente radicate e supportate da una forte volontà politica, questi paesi possono proteggersi dalla pressione esterna e dalle future imposizioni commerciali. Più questi processi sono partecipativi e ben informati, più presumibilmente i risultati saranno resilienti e sostenibili.

Non c’è tempo da perdere. I governi devono resistere alla paralisi nell’affrontare le incertezze di questo nuovo panorama politico e agire decisi in risposta al cambiamento delle dinamiche globali. C’è una preziosa opportunità di prendere il controllo dei loro programmi industriali, liberandosi dagli attuali modelli economici estrattivi promossi dalla politica neoliberista e dalle società tecnologiche capitaliste di sorveglianza. Devono invece perseguire alternative attuabili per una vera trasformazione digitale, in grado di porre le persone e il pianeta al centro di un progresso economico sostenibile.

Mentre il mondo si trova ad affrontare incertezza, precarietà e un crescente disagio verso il futuro, la scelta è nostra: aspettare e guardare per poi rimpiangere, o iniziare a prepararsi e pianificare strategie proattivamente per quello che ci aspetta dinanzi.

Noi di Progressive International mobiliteremo i nostri membri in tutto il mondo per vincere la lotta sulla sovranità tecnologica nell’era dei nuovi oligarchi della tecnologia.

Available in
EnglishSpanishFrenchArabicItalian (Standard)Portuguese (Brazil)
Authors
Renata Ávila and Burcu Kilic
Translators
Anna Rotondi, Simone Vanni and ProZ Pro Bono
Date
10.03.2025
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