Nel 2020, il Parlamento dell'India, guidato dal primo ministro di estrema destra Narendra Modi e il suo partito Bharatiya Janata Party (BJP), ha introdotto una serie di progetti di legge concepiti per privatizzare il settore agricolo indiano e smantellare le protezioni governative di lunga data in nome della cosiddetta efficienza del mercato. Collettivamente, queste "leggi agricole" sono state un assalto ai mezzi di sussistenza degli agricoltori indiani a beneficio del servizio del capitale straniero e degli oligarchi dell'agribusiness nazionale.
In risposta, i contadini si sono organizzati e sono scesi in strada con numeri senza precedenti. La loro è stata un'espressione organizzata di democrazia e di disobbedienza: scioperi a livello nazionale, blocchi di strade e ferrovie, boicottaggi e barricate di obiettivi aziendali, e, a sostegno di tutto ciò, un sistema collettivo di aiuto reciproco per coloro che mettevano in gioco la loro vita (vedi il nostro saggio fotografico qui). Abbiamo visto come le donne indiane hanno giocato un ruolo indispensabile al centro del movimento, resistendo sia alle forze del capitalismo che alle forze del patriarcato. Contadini e attivisti in tutto il mondo, ispirati dalla determinazione radicale dei loro compagni in India, hanno espresso la loro solidarietà.
La lotta è durata più di un anno e in questo periodo lo stato ha ucciso circa 700 contadini. Ma il movimento si è rivelato più forte. A dicembre, le leggi agricole sono state abrogate.
Tuttavia, la lotta è tutt'altro che finita. I contadini indiani sono impegnati a costruire un movimento a lungo termine sulla loro vittoria contro il governo e hanno fatto ulteriori richieste. Hanno affrontato ulteriori minacce mentre gli strumenti dell'imperialismo minacciano di insidiare la loro vittoria. Quest'anno, in onore loro, celebriamo i contadini dell'India. Hanno dimostrato che il popolo - organizzato, mobilitato e disposto ad impegnarsi in azioni radicali di disobbedienza - ha il potere di definire il proprio destino.
Per i palestinesi, la "Nakba" - che si traduce come "catastrofe" - si riferisce alla pulizia etnica di 750.000 palestinesi da paesi, villaggi e città nel 1948. Non è una storia del passato, ma un progetto di colonizzazione continuo e brutale.
Nell'aprile 2021, il governo israeliano ha tentato di sfrattare con violenza circa 2.000 palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah, nella Gerusalemme Est occupata. Quando i residenti hanno resistito con una campagna valorosa per salvare il quartiere usando l’hashtag #SaveSheikhJarrah, lo stato israeliano ha risposto con brutalità, attaccando il popolo palestinese nelle strade e nei loro luoghi di culto.
Pochi giorni dopo, il governo israeliano ha lanciato un feroce assalto militare su Gaza in cui almeno 260 palestinesi hanno perso la vita. In risposta, l'Internazionale Progressista ha esortato le forze progressiste del mondo a lottare per la fine della Nakba, a boicottare il regime dell'apartheid - una richiesta approvata anche da oltre 700 leader del Sud Globale - e un richiamo a disinvestire dalla macchina da guerra israeliana attraverso un movimento organizzato, internazionalista e antimilitarista.
Dopo qualche mese, quando il nuovo governo israeliano di Bennett-Lapid si è insediato, i leader mondiali e la stampa internazionale hanno celebrato la fine dell'era Netanyahu. Non sorprende, tuttavia, che l'amministrazione non solo abbia continuato, ma abbia addiritura raddoppiato la repressione del popolo palestinese. A ottobre, hanno definito una serie di ONG e organizzazioni palestinesi impegnati nella lotta per i diritti umani, tra cui Al-Haq e Defense for Children International - Palestine, come "istituzioni terroristiche".
Ma la società civile palestinese rifiuta di essere messa a tacere. Come ha scritto Shahd Qaddoura di Al-Haq, la più antica organizzazione palestinese per i diritti umani: "Finché la Palestina non sarà libera e potremo finalmente godere del nostro diritto all'autodeterminazione, la nostra voce di giustizia rimarrà forte".
In tutto il mondo, la tecnologia digitale sta creando nuovi modi per ricavare valore dai lavoratori e le lavoratrici, facendoli precipitare in condizioni di lavoro sempre più precarie. Questo passaggio alla gig economy è più evidente che mai per i lavoratori delle consegne a domicilio tramite applicazioni del cellulare. Durante la pandemia, il lavoro di consegna equivaleva a un "servizio essenziale" che proteggeva le persone dall'esposizione al virus, ma allo stesso tempo erano le grandi piattaforme a trarre i maggiori benefici di questo lavoro essenziale. Ora però, le cose stanno cominciando a cambiare. Un movimento di lavoratori delle consegne a domicilio sta crescendo in tutto il mondo - da Shanghai a Tbilisi, da Città del Messico a Taiwan - lottano per la fine dello sfruttamento, per il diritto di sindacalizzare e per sfidare il controllo algoritmico delle loro vite.
Intorno ai 80.000 lavoratori delle consegne di cibo a Taiwan, per esempio, hanno protestato contro i nuovi calcoli salariali poco trasparenti di aziende come Uber Eats e Foodpanda. Chiedono un sindacato nazionale per organizzare e combattere i modelli commerciali di sfruttamento nella cosiddetta gig economy. Nella capitale della Georgia, a Tbilisi,, i lavoratori delle consegne sono classificati come "appaltatori indipendenti", e con questa definizione affrontano un processo complicato per organizzare scioperi legali. Ma invece di arrendersi, gli autisti hanno fatto virtù del loro status: hanno collettivamente interrotto il lavoro semplicemente spegnendo l'applicazione - gettando nel caos l'azienda e dimostrando il potenziale di auto-organizzazione dei fattorini.
La sinistra sta crescendo in America Latina. Dalla Bolivia al Perù, dal Cile all'Honduras, il popolo sta combattendo per reclamare la democrazia contro le forze domestiche del nazionalismo di destra e l'intervento di potenze esterne.
Dopo la mobilitazione trionfale contro il golpe di stato della destra - che aveva fatto cadere il governo del ‘Movimento verso il Socialismo’ nel 2019 - il popolo boliviano ha reclamato la sua democrazia quest’anno e ha chiesto giustizia per le vittime del regime golpista.
In Perù, l'ex insegnante di scuola elementare e leader sindacale Pedro Castillo ha sconfitto un avversario che minacciava di riportare il paese ai giorni più bui della dittatura fascista di Fujimori.
In Honduras, l'elezione di Xiomara Castro ha portato una rinnovata speranza che il paese possa finalmente sfuggire all'ombra del colpo di stato sostenuto dagli USA nel 2009.
Il popolo del Venezuela ha continuato a difendere le vittorie del processo bolivariano contro le sanzioni soffocanti e altri sforzi imperiali di cambio di regime, compreso il saccheggio delle sue riserve d'oro da parte del sistema legale britannico.
E per chiudere l'anno, il membro ufficiale dell'Internazionale Progressista Gabriel Boric ha trionfato sul pinochetista José Antonio Kast, aprendo la strada alla trasformazione radicale della costituzione cilena avviata dall' "esplosione sociale" dal 2019.
Le sfide profonde rimangono. Una devastante perdita elettorale in Ecuador è stata l'eccezione alla tendenza regionale. In Colombia, la resistenza di massa guidata da popoli indigeni e contadini è stata violentemente soffocata dal governo Duque, sostenuto da Washington e Londra. E anche le vittorie rappresentano l'inizio, non il culmine, di un lungo processo storico di rivendicazione della sovranità in tutta l'America Latina.
Dopo un anno di grandi vittorie e sconfitte, nel 2022 sposteremo la nostra attenzione alla Colombia, al Brasile e oltre.
La lotta per la decolonizzazione contro l'imperialismo è forse la lotta più significativa del nostro tempo. Laddove il colonialismo e il capitalismo hanno violentemente convertito la terra comune di molti nella proprietà privata di pochi, la decolonizzazione ha cercato a lungo di recuperare quella terra a beneficio dei popoli a cui appartiene di diritto.
Questa è una lotta per la sovranità, per la terra, per il cibo e contro la distruzione ambientale. E, nonostante i tentativi degli imperialisti di relegare la storia coloniale al passato, la lotta per la decolonizzazione continua oggi nel mondo.
In Kenya, i Wakasighau, un popolo che è stato sradicato dalla loro regione natale Kasighau ed esiliato dagli inglesi all'inizio della prima guerra mondiale, stanno ancora combattendo per la restituzione della loro terra.
Per la gente del Pakel Village in Indonesia, la lotta contro l'accaparramento della terra e la distruzione ambientale è durata più di 100 anni: prima contro il governo coloniale olandese, poi contro i governanti indonesiani del dopo indipendenza.
Sull'isola filippina di Panay, il popolo indigeno Tumandok è impegnato in una lotta da decenni contro i progetti di costruzione di dighe.
In India, le popolazioni tribali della foresta di Hasdeo hanno intrapreso una storica marcia a piedi fino alla capitale dello stato per salvare le loro terre e i loro mezzi di sussistenza da un progetto minerario del gruppo multinazionale indiano Adani.
In Australia, la nazione aborigena Wangan e Jagalingou sta conducendo una lotta determinata per fermare un progetto di estrazione del carbone ecologicamente e culturalmente distruttivo.
In Brasile, i popoli indigeni hanno occupato la capitale Brasilia per resistere all'accaparramento delle terre e ai megaprogetti ecologicamente distruttivi del governo, e per lottare per i loro territori e il diritto alla vita. E il Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra (MST) del paese - uno dei più grandi movimenti sociali dell'America Latina con circa 1,5 milioni di membri - lotta contro lo sgombero di 450 famiglie che vivono nel campo Marielle Vive a Valinhos, dove hanno trasformato una terra abbandonata in una comunità fiorente.
In Colombia, i capi guardia delle comunità contadine, cimarrone e indigene mobilitano i loro membri per la difesa dei loro rispettivi territori e spazi contro la brutale repressione del governo Duque.
Tutte queste lotte fanno parte di una guerra planetaria per la terra, i diritti e i mezzi di sussistenza dei popoli indigeni contro le forze globali della colonizzazione e i meccanismi di accumulazione primitiva.
Mentre alcuni movimenti hanno un nuovo inizio, altri capitoli si stanno chiudendo. Dopo oltre un decennio di reportage e analisi critica dei movimenti popolari in tutto il mondo, ROAR Magazine, membro dell’Agenzia dell’Internazionale Progressista, ha annunciato che con il nuovo anno raggiungerà la fine del suo viaggio. Mentre ci salutiamo, vi consigliamo di leggere il loro ultimo numero [in inglese] - Mobilize - che contiene saggi su una selezione di lotte popolari da tutto il mondo.