Di recente, con l’inizio del suo terzo anno di governo, il primo presidente di sinistra colombiano, Gustavo Petro, ha richiamato l’attenzione del mondo intero sul suo Paese, di fronte a quello che egli stesso ha descritto come “l’emergere del colpo di Stato” contro la sua amministrazione. Nonostante Petro abbia implementato con successo una riforma pensionistica, una riforma fiscale da 4 miliardi di dollari, una nuova strategia anti-droga e un cambiamento senza precedenti nella politica estera colombiana, gli sforzi della sinistra per cambiare la Colombia sono stati minacciati da una serie di sfide legali da parte delle forze ed élite di destra.
Daniel García-Peña, il nuovo ambasciatore di Petro negli Stati Uniti, storico, giornalista pluripremiato, alto commissario per la pace sotto il governo di Ernesto Samper e consulente dell'ormai estinto Movimento 19 aprile (M-19), affronta queste sfide durante la sua intervista per Jacobin. Come si relazionerà il primo governo di sinistra colombiano con gli Stati Uniti, che hanno a lungo fatto affidamento sulla leadership fortemente conservatrice della Colombia per salvaguardare i propri interessi imperialistici?
Parlando con il fotografo Jesse Gwilliam e il ricercatore indipendente Luca DeCola, l’ambasciatore García-Peña ha discusso sul problema del lawfare (“guerra locale”) contro l’amministrazione Petro, sulle tensioni internazionali e sulle sfide che deve affrontare la sinistra colombiana, sulle prospettive di pace tra i conflitti armati interni e sulla rottura dei rapporti diplomatici con Israele da parte nella nazione.
LUCA DECOLA: Vorrei iniziare con una domanda riguardo ciò che il presidente ha definito “l’emergere di un leggero colpo di Stato” in Colombia. Come valuta lei l’attuale attacco della destra all’amministrazione Petro sotto forma di campagne di disinformazione e lawfare?
DANIEL GARCÍA-PEÑA: Il presidente Petro rappresenta certamente una minaccia per gli interessi dell’élite che ha governato il Paese per decenni. La sua amministrazione e i suoi sostenitori stanno portando avanti un sistema politico ben radicato e un modello economico con pratiche politiche molto difficili da cambiare da un giorno all’altro. Nessuno, della sinistra, si aspettava che ciò potesse essere facile. Il lawfare in Colombia è diventato non solo un ostacolo da rimuovere, un metodo di quelle élite per sopprimere i piani progressisti del governo, ma anche una prova evidente della disperazione della destra e, in diversi modi, della loro debolezza. L’elezione di Petro nel 2022 è da considerarsi come il risultato indiretto dell’accordo di pace del 2016 con le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC), nonché il culmine dello sforzo costante per ottenere la democrazia, i diritti umani e l’espansione delle sinistra colombiana. Era quindi lecito aspettarsi un’azione di contrasto da parte di un’élite che, a differenza di altre in America latina, ha mantenuto per centinaia di anni le stesse persone e le stesse famiglie.
JESSE GWILLIAM: Lei pensa che la coalizione del Pacto Histórico (Patto Storico) abbia la forza interna e la coerenza politica necessarie per raggiungere gli ambiziosi obiettivi di Petro contro l’offensiva della destra e contro il parlamento ostile? Oppure stiamo vivendo un periodo storico con fondamenta instabili e, possibilmente, prive di longevità?
DANIEL GARCÍA-PEÑA: È una questione davvero complicata, perché non ha a che fare soltanto con la sinistra democratica colombiana, ma anche con la sinistra a livello internazionale. Come possiamo riconoscere la diversità delle svariate idee e forze della sinistra e, al tempo stesso, la necessità di una struttura politica unita e organizzata?
Nella sua forma più recente, il Pacto Histórico è essenziale perché unisce una vasta gamma di gruppi, movimenti sociali e partiti politici. Tuttavia, il partito non ha alcuna coerenza nella sua organizzazione né nella struttura; ciò che mantiene insieme la coalizione è la figura di Petro, che è occupato a governare il Paese. Insomma, stiamo ancora provando a raggiungere un equilibrio tra la pluralità politica, che è necessaria, e un programma politico che possa vincere le elezioni. Questo è il nocciolo della questione.
Ciò nonostante, ci sono dei piani per un cambiamento, un programma e delle idee oltre a Petro. La Colombia sta cambiando, e le realtà del nostro presente costringono le persone a vedersela con la necessità di restare uniti in questo piano per la realizzazione di pensioni, assistenza sanitaria e riforme dell’istruzione, per annullare le politiche neoliberiste introdotte in passato in Colombia, e ottenere una pace duratura.
LUCA DECOLA: Nel Tribunale degli Stati Uniti per il Distretto Meridionale della Florida, la Chiquita Brands International è stata recentemente ritenuta responsabile del finanziamento dei paramilitari delle Autodefensas Unidas de Colombia (Autodifese Unite della Colombia, o AUC). Può parlarci dell’impatto di questa sentenza per i colombiani?
DANIEL GARCÍA-PEÑA: La sentenza in Florida su Chiquita Brands è estremamente importante per alcune ragioni. Innanzitutto c’è la problematica relativa al sistema giuridico colombiano. Il presidente Petro ha affrontato l’argomento quando ha twittato: “Com’è stato possibile che il sistema giuridico statunitense sia stato capace di determinare che Chiquita Brands finanziasse il paramilitarismo in Urabá? Perché il sistema giuridico colombiano non ci è riuscito?”
I paramilitari e Chiquita Brands non hanno agito dal nulla, ma hanno interagito a stretto contatto con le élite dell’economia colombiana. Ma chi sono i colombiani coinvolti? Chi sono queste élite colombiane che hanno finanziato i paramilitari? C’è ancora molta strada da fare e il sistema giuridico colombiano è ancora lungi dall’affrontare il coinvolgimento delle élite nel paramilitarismo.
La sentenza di Chiquita ci ricorda anche come si sono evoluti questi gruppi paramilitari. Oggigiorno le élite non hanno bisogno di gruppi armati; le persone che volevano assassinare sono state assassinate e la terra di cui volevano impossessarsi se la sono presa. In diverse regioni della Colombia i paramilitari hanno vinto la guerra. È una cosa triste e spaventosa da dire, ma è la verità.
Attualmente stiamo vivendo una nuova fase del consolidamento paramilitare, con una nuova generazione: i figli, eredi dei paramilitari, che non hanno mai preso le armi, ma che sono stati mandati a studiare negli Stati Uniti e sono ora uomini d’affari. E una parte fondamentale del loro successo, per così dire, è la loro capacità di dominare il sistema politico e di infiltrarsi nei partiti: la parapolitica.
LUCA DECOLA: Può illustrarci gli sforzi del governo nel raggiungere la sua paz total (pace totale) e i negoziati per un accordo con gli agenti armati, incluse le guerriglie dell’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN)? Quali sono le attuali prospettive di pace?
DANIEL GARCÍA-PEÑA: Attualmente l’ostacolo principale per ottenere i negoziati di pace sono le tensioni interne all’ELN, culminate nella recente scissione del fronte sudoccidentale del gruppo guerrigliero e nella ricerca di negoziati separati con il governo. L’ELN è un’organizzazione piuttosto differente dalle FARC, con una struttura di comando molto più decentralizzata e con un elevato grado di autonomia per ogni fronte.
Considerate le origini ideologiche e storiche dell’ELN nella teologia della liberazione, per cui farne parte è quasi come far parte di un’organizzazione religiosa, la questione dell’unità è critica. Quindi, queste tensioni interne hanno generato una reazione da parte del centro di comando dell’ELN, in cui la scissione del fronte sudoccidentale viene vista come un tentativo da parte del governo di dividere le guerriglie.
Eppure, finora, non è mai stato proposto alcun negoziato con l’ELN come invece accade con il presidente Petro. Oltre a essere la prima volta che l’ELN aderisce a un processo di pace, un’altra cosa che noto è che la sua base sociale e politica sta effettivamente esercitando pressione politica alle guerriglie per giungere a una soluzione.
Un’altra parte del conflitto che non riguarda esclusivamente Petro o il suo governo è l’inefficienza e la burocrazia dello Stato colombiano. Quindi, purtroppo, l’ELN ha ragione su diversi aspetti quando puntualizza sull’incapacità dello Stato di attuare una politica in generale, che è un problema altrettanto rilevante per l’accordo di pace del 2016. Il fatto che siano stati assassinati così tanti firmatari dell’accordo di pace del 2016 è un segno che non siamo ancora stati capaci di superare quanto accaduto con l’eliminazione sistematica dell’Unione Patriottica negli anni ‘80, ‘90 e inizio 2000. È difficile comprendere come un Paese caratterizzato da così tanta violenza sia riuscito al tempo stesso ad avviare processi democratici.
LUCA DECOLA: Può affrontare l’argomento del troncamento delle relazioni diplomatiche tra il governo colombiano e Israele a causa del genocidio a Gaza, e del futuro delle relazioni tra Colombia e Stati Uniti?
DANIEL GARCÍA-PEÑA: La realtà è che la Colombia è dalla parte giusta della storia. La decisione di Petro di tagliare i rapporti con Israele fa parte di una protesta internazionale contro il governo israeliano. Il blocco di vendita delle armi da Israele alla Colombia non avrà un impatto notevole sull’economia israeliana; riusciranno a vendere altrove le loro armi. Ma, osservandola da un punto di vista morale ed etico, è la cosa giusta da fare. Sono orgoglioso del fatto che il nostro presidente e il nostro Paese siano diventati molto risoluti e aperti sulla questione.
Recentemente sono stato invitato a un evento presso l’Università della California, a Santa Barbara. Persone provenienti da diverse parti del mondo, come Sudan, Egitto e altri Paesi, hanno detto cose come: “Ah, il vostro presidente è pro-Palestina”, e io ho pensato subito: “Wow, quindi c’è stato davvero un impatto!”. Per diverse ragioni, Petro è una voce portante in America latina per quanto riguarda Gaza.
La politica estera della Colombia è sempre stata piuttosto titubante e le amministrazioni passate hanno sempre evitato conflitti con gli Stati Uniti. Difatti, a Washington, uno dei funzionari dell’ambasciata colombiana ha recentemente raccontato che, in passato, era pratica comune per il governo colombiano informare gli Stati Uniti prima di rilasciare qualsiasi annuncio pubblico relativo a problematiche di tipo politico.
Ma questa volta, quando abbiamo tagliato i rapporti con Israele, non abbiamo avvisato gli Stati Uniti. Possono leggere il titolo dell’articolo sul New York Times come chiunque altro. Questi sono alcuni segni di uno Stato colombiano più indipendente e sovrano, e gli Stati Uniti dovranno farsene una ragione.