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Morte e resistenza: comunicato dalla prigione HM Low Newton

Un’attivista in carcere crea un potente parallelismo tra la lenta violenza e il rifiuto dell’autonomia all’interno delle prigioni britanniche e le tattiche impiegate da Israele a Gaza.
Il sistema delle prigioni britanniche e lo stato di Israele utilizzano modalità di controllo biopolitico simili nel gestire “un eccesso di persone” non solo uccidendoli ma, in maniera più subdola, attraverso una “morte lenta” causata da negligenza medica, condizioni debilitanti e il rifiuto strategico di una morte dignitosa.

Una volta, mentre passeggiavamo in cortile, una mia amica nella prigione di Bronzefield mi ha confidato che il suo peggiore incubo era che le guardie le sottraessero i mezzi per suicidarsi. Essere privata di quest’ultima possibilità di agire in autonomia era la perdita più angosciante che potesse immaginare. Ci ho pensato spesso, soprattutto in relazione al genocidio a Gaza e al recente caso di suicidio nella prigione HM Low Newton il 13 febbraio 2025. Nel momento in cui scrivo, sono in prigione da 308 giorni, tenuta in custodia cautelare insieme a un gruppo di altre 17 persone noto con il nome di Filton 18.1 Siamo stati accusati di aver preso parte a un’azione diretta per interrompere l’attività di una fabbrica Elbit Systems a Filton, Bristol, che produce armi, tra cui i droni usati al momento per compiere il genocidio a Gaza. Siamo stati arrestati e trattenuti secondo il Terrorism Act (legge antiterrorismo britannica), anche se siamo accusati di reati non terroristici. Al momento mi trovo nella prigione di Low Newton, ma sono stata detenuta anche nelle carceri di Bronzefield e di Polmont. Seguendo dalla mia cella la cronaca liberale dominante sul genocidio, ho riflettuto a lungo sulla sottomissione e la resistenza dei palestinesi, e sui parallelismi con il controllo delle persone incarcerate nel Regno Unito.

Il personale ha fatto del suo meglio per impedire la diffusione della notizia del suicidio a Low Newton ma era inevitabile che si diffondesse in poco tempo. Tutti sanno cosa significa “codice blu” e, se è seguito da un blocco di tutta la prigione, può indicare solo una cosa. Di conseguenza, l’annuncio ufficiale ai prigionieri la mattina successiva è stato considerato un gesto stranamente premuroso. Una donna che non avevamo mai visto prima, con una camicetta di raso color oro rosa e tacchi immacolati e scintillanti, ci ha informato della “triste perdita” e ci ha invitato a parlarne al personale nel caso ne sentissimo il bisogno. Una volta completate queste formalità preliminari, è passata al principale obiettivo del suo discorso: il controllo delle informazioni. Siamo state esortate a non diffondere voci e a non speculare sulle cause della morte. Il suicidio è stato definito uno “shock” e una “tragedia”, come se fosse un incidente raro e anomalo, qualcosa senza precedenti che non si sarebbe mai più ripetuto, come se, mi sono detta, non fossimo intrappolate in una fabbrica della morte presieduta da eugenisti con acconciature impeccabili e sopracciglia compassionevolmente aggrottate.

Se una persona detenuta qui prendesse in parola la donna con la camicia di raso e si confidasse con una guardia, verrebbe immediatamente sottoposta ad ACCT. Non so cosa significhi l’acronimo, nonostante vi sia stata messa sotto anch’io la prima volta che sono arrivata (nonostante le mie violente proteste), ma tutti sanno che è un brutto segno. Ti spostano in una cella spoglia (nota come “cella dei suicidi”), a volte ti costringono a spogliarti e indossare “indumenti anti-legatura” e ti sottopongono a un regime militare di controlli che avvengono ogni mezz’ora o ogni quarto d’ora per tutta la notte. Questi controlli consistono in un occhio che appare dallo spioncino nella porta o nel muro, accompagnato da una torcia abbagliante quando la luce è spenta e da un brusco richiamo se non ti muovi per capire se sei ancora viva. Una mia amica, incarcerata da bambina e ora ventenne, ha sopportato questo trattamento per un anno intero. Inutile dirlo, l’obiettivo non è distogliere da pensieri suicidi, ma semplicemente impedire che vengano messi in atto sotto la supervisione dello Stato.

Non passa nemmeno una settimana prima che un nuovo rapporto ispettivo denunci la “crisi di salute mentale” nelle carceri britanniche2 e le condizioni terribili che spingono così tante persone a considerare la morte come unica via d’uscita. Secondo il Prisons and Probation Ombudsman, nel 2023, una persona detenuta si è tolta la vita ogni tre giorni e mezzo, mentre un articolo sull’Inside Time ha sottolineato che nel 2024 sono morte più persone nelle carceri scozzesi di quante siano state uccise in Scozia per omicidio. Ma la nostra fame di statistiche sensazionalistiche oscura il fatto che queste cifre non tengono conto di innumerevoli quasi-morti: i tentativi di suicidio, le disabilità derivanti dall’endemica negligenza medica3 e gli effetti devastanti di regimi disumani che vedono un numero crescente di persone detenute chiuse in celle minuscole per oltre 22 ore al giorno.4 La storia della mia amica Sandra5 è inquietantemente emblematica. In preda a dolori atroci per settimane, implorava di vedere qualcuno dell’assistenza sanitaria carceraria; dopo settimane di attesa, è stata finalmente visitata e le sue preoccupazioni sono state ignorate. Aveva perso oltre due terzi del suo peso corporeo e riusciva a malapena a trascinarsi lungo il corridoio, dovendo appoggiarsi al vecchio deambulatore di un’altra detenuta. Solo quando un agente è rientrato dalle ferie ed è rimasto sconvolto da quanto fosse diventata piccola e fragile, è stata chiamata un’ambulanza. Quando è arrivata in ospedale, era in uno stato di insufficienza multiorgano ed era ormai troppo tardi per salvare gran parte dell’intestino, che è stato rimosso e sostituito con una stomia. Sandra pesava poco più di 35 chili e i medici non erano sicuri che sarebbe sopravvissuta all’operazione, così una gentile infermiera ha accettato di informare la sua famiglia che il carcere non aveva avvisato per timore che tentasse di fuggire. I figli di Sandra si sono radunati attorno al suo letto e hanno pianto, e suo fratello ha rimproverato l’agente per la crudele mancanza di dignità della catena al suo polso, che sembrava pesare quanto lei. L’agente, ben lungi dall’essere colpito, ha ritardato l’operazione, non volendo seguire le indicazioni dei medici di liberarla dalle manette per poter entrare in sala operatoria senza il consenso del carcere. Dopo aver fatto pace con l’idea della morte a 41 anni, Sandra è sopravvissuta. Se però avesse ricevuto cure mediche mesi prima, non avrebbe avuto bisogno di un intervento così drastico e devastante. La mia vicina, Katie,6 è arrivata in carcere assumendo codeina, prescritta dal suo medico dieci anni prima per gestire il dolore dovuto a un danno ai nervi nella colonna vertebrale causato da un’epidurale somministrata in modo scorretto. L’infermiera del carcere le ha detto che non le potevano somministrare la codeina e che avrebbe dovuto accontentarsi del paracetamolo. Per gestire l’astinenza, le è stato prescritto il metadone, un farmaco sostitutivo dell’eroina. Tra due mesi, Katie lascerà la Low Newton con una dipendenza da metadone pur non avendo mai assunto eroina in vita sua.7

Questi esempi hanno conseguenze estreme, ma le cause sono banali. Il personale medico delle carceri, quando riusciamo a vederlo, è di norma sospettoso nei confronti dei disturbi che riferiamo, essendo stato addestrato a considerare tutte le persone detenute come approfittatrici, manipolatrici, scansafatiche e tossicodipendenti.8 La malattia o un’autolesione che richiedono un ricovero ospedaliero vengono trattati automaticamente come un tentativo di fuga; da qui deriva la riluttanza dell’agente a togliere le manette a Sandra, persino mentre veniva portata in sala operatoria. (Un’altra detenuta ricorda la volta in cui è andata in ospedale e l’agente incatenato a lei non si fidava del medico che insisteva che non poteva restare ammanettato a lei mentre entrava nella macchina per la risonanza magnetica. Ancora una volta, dopo varie telefonate si è ottenuta l’autorizzazione per poterla sottoporre alla risonanza.) Questa negligenza medica e sfiducia creano inevitabilmente un ambiente dannoso per la salute. Oltre allo stress psicologico dell’essere esiliate dalle nostre vite e circondate da una sorveglianza costante e ostile, riceviamo un’alimentazione scadente, con pasti costituiti prevalentemente da carboidrati economici e ultra-processati e, a meno che i nostri lavori non lo prevedano, le opportunità di fare attività fisica sono poche. Non c’è da meravigliarsi se, secondo l’Inside Time, una persona detenuta su cinque ha il diabete di tipo 2.9 Dormire bene è difficile, soprattutto per chi non riesce a trovare una posizione comoda sul sottile materassino blu di plastica su una mensola rigida che funge da letto o per chi viene disturbato dalla torcia del giro di ronda notturno che trafigge il buio delle nostre celle. Se questi sono i soli ostacoli al sonno, la notte trascorre tranquilla; ben peggiori sono quelle in cui il silenzio è squarciato dalle urla e dai lamenti di detenute in difficoltà, o dai colpi sordi e terribili di qualcuno che sbatte la testa contro il muro o la porta. All’inizio, questi suoni mi facevano salire un nodo alla gola; ora indosso i miei paraorecchie sopra i tappi e cerco di dormire supina.

Queste realtà non possono essere ridotte a freddi numeri da prima pagina, anche se costituiscono una campagna di morte lenta, che sottrae anni alle nostre aspettative di vita oltre a quelli di esistenza libera di cui lo Stato ci priva. Allo stesso modo, l’analisi più comune della devastazione causata dal genocidio dei palestinesi da parte di Israele privilegia il conteggio dei morti rispetto a tutte le altre misure, trasmettendo in modo subdolo la falsa impressione che feriti, malati, affamati, traumatizzati e sventurati staranno bene. La politica ampiamente documentata delle forze di occupazione israeliane (IOF) di “sparare per menomare”10 invece che per uccidere viene spesso erroneamente interpretata dal pubblico occidentale come prova dell’impegno dell’esercito a preservare la vita. Tuttavia, in un contesto di privazione strategica di risorse e annientamento mirato delle infrastrutture, dove la fornitura o la negazione di cure mediche, carburante, elettricità, cibo e acqua è controllata dall’oppressore israeliano, la pratica costante e deliberata di menomare equivale a una condanna a morte lenta e dolorosa. È fondamentale sottolineare che queste morti differite non sono attribuite alle IOF, falsando così un bilancio delle vittime che già provoca un lieve disagio ai governi occidentali che finanziano il genocidio, quando invocano il pretesto delle “legittima difesa” di Israele. È una tattica ideata non solo per rabbonire i liberali occidentali, ma anche per negare ai palestinesi la dignità e l’onore del martirio quando la morte diventa la loro unica opzione. Nel 2016, i rapporti del BADIL Resource Center for Palestinian Residency and Refugee Rights hanno documentato le campagne di gambizzazione nei campi profughi della Cisgiordania, riportando le dichiarazioni di un comandante israeliano che comprendeva appieno, e se ne compiaceva, il significato di questa negazione. Il Capitano Nidal ha dichiarato: “Renderò tutti i giovani di questo campo disabili”, mentre la giornalista israeliana Amira Hass riportava su Haaretz che Nidal “dice ai giovani che non ci saranno martiri nel campo, ma ‘finirete tutti con le stampelle’”.11 Jasbir K. Puar, autrice di The Right to Maim, descrive quest’atto come “mirare alla morte, senza uccidere”12 e osserva che “è come se negare la morte… diventasse un atto di disumanizzazione: i Palestinesi non sono neppure abbastanza umani per morire”.13

Per ironia della sorte, spesso gli Stati occidentali che forniscono la maggior parte dei fondi all’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente) siano gli stessi che finanziano Israele con miliardi di dollari per munizioni, poi usate per radere al suolo scuole e ospedali costruiti dall’UNRWA stessa. Un’altra ipocrisia profonda è evidente nella posizione del governo britannico sulle carceri. Il rapporto annuale dell’HMI Prisons per il 2023-2024 afferma che viviamo “tempi disperati”, osservando che suicidi e autolesionismo sono aumentati “significativamente” negli istituti maschili e in alcune strutture sono raddoppiati. Nel frattempo, il tasso di autolesionismo nelle carceri femminili è nove volte superiore a quello degli uomini. Eppure, alla fine del 2024, il Lord High Chancellor e Segretario di Stato per la Giustizia Shabana Mahmood ha annunciato il piano governativo da dieci miliardi di sterline per costruire quattro nuove carceri nei prossimi sette anni, creando ulteriori 6400 posti per accogliere la popolazione carceraria del Regno Unito in continuo aumento. Forse la contraddizione non è ovvia: dopotutto, possono più carceri ridurre le tensioni causate dal sovraffollamento? L’afflusso di denaro non potrebbe essere usato per riabilitare e supportare i detenuti? Consiglierei a chiunque nutra tale ottimismo di notare la palese assenza di qualsiasi menzione di cambiamenti culturali nell’annuncio di Mahmood. L’accento è esclusivamente sull’espansione fisica, senza che nessuno sembri preoccuparsi della domanda lampante: perché il numero di detenuti continua a salire? Porre tale domanda significherebbe riconoscere che i “criminali” sono una popolazione socialmente costruita e quindi è estremamente difficile evitare di concludere che tutti i pregiudizi che ci vantiamo di aver superato come società siano vivi e vegeti, assorbiti sotto il titolo di criminalità. La semplice verità è che più carceri possono significare solo più detenuti morti o menomati. E come potrebbe essere altrimenti? Qualsiasi tentativo di affrontare seriamente le cause profonde della disperazione di un detenuto porterebbe necessariamente all’abolizione del carcere, e allora tutte le guardie carcerarie rimarrebbero senza lavoro. Non abbiamo la pena di morte in questo paese, ma abbiamo un sistema carcerario in continua espansione e sempre più oppressivo, insieme a un apparato statale di sorveglianza, controllo e disciplina in rapida proliferazione, per cui la morte e la menomazione potrebbero non essere l’intenzione esplicita, ma ne sono il risultato innegabile.

Sia nella propaganda statale israeliana che in quella britannica, alla retorica ipocrita sull’intenzionalità si attribuisce un peso notevole nella valutazione dei risultati. Ogni articolo e rapporto che denuncia le carenze delle carceri è pieno di gesti di disappunto e scuotimenti di testa di circostanza, vuote condoglianze alle famiglie delle vittime e assicurazioni che tutti coloro coinvolti fanno del loro meglio affinché accada esattamente il contrario di ciò che sta succedendo. Poco importa che la maggior parte dei detenuti siano recidivi14; infatti, la detenzione non riduce la recidiva15, nonostante l’intenzione sia proprio quella. E sì, l’ex Ispettore capo delle prigioni Peter Clarke ha dichiarato che il tasso di suicidi e autolesionismo nelle carceri del Regno Unito è “uno scandalo”,16 ma ciò che bisogna comprendere è che tutto il personale carcerario si impegna a rispettare e a prendersi cura dei detenuti, aiutandoci a coltivare il nostro potenziale e a lasciarci alle spalle i nostri nefasti modi criminali. Allo stesso modo, dobbiamo smetterla di insistere sul fatto che, dopo un anno di genocidio, quasi il 70% delle vittime degli attacchi israeliani erano donne e bambini, poiché se si prestasse attenzione a entrambe le parti si saprebbe che Israele “non desidera danneggiare la popolazione”, come ha dichiarato Netanyahu in una conferenza stampa nel dicembre 2023. Un importante principio per superare il divario tra parole e realtà è quello di Stafford Beer: “lo scopo del sistema è ciò che fa”. È inutile insistere su un’intenzione presunta che è costantemente in contrasto con il risultato. Se Israele intendesse davvero non uccidere civili, le IOF potrebbero evitare di bombardare scuole, ospedali e campi profughi densamente popolati. Se il governo britannico desiderasse sinceramente ridurre il sovraffollamento nelle carceri, potrebbe smettere di richiamare persone dalla libertà vigilata per infrazioni ridicole, come arrivare dieci minuti in ritardo a un appuntamento di controllo, come accaduto a un’altra mia amica nella prigione di Bronzefield.

In carcere, come nella Palestina occupata, lo spettro della morte è costante, sia essa improvvisa o lenta, cercata o combattuta. Ma mentre infliggere la morte è uno strumento netto ed efficace di controllo biopolitico (far sparire popolazioni indesiderate), negare la morte lo è altrettanto. Mirando specificamente a menomare i bambini, le IOF guadagnano punti in termini di umanitarismo agli occhi di liberali occidentali deliberatamente ingenui e compromettono qualsiasi resistenza futura. È una tecnica di contro-insurrezione calcolata, che anticipa la previsione di Elon Musk secondo cui gli orfani traumatizzati e in lutto dei martiri sarebbero cresciuti con la volontà di unirsi a Hamas.17 Questa osservazione è stata percepita da alcuni come un raro momento di lungimiranza da parte di Musk, ma in realtà tradisce l’incomprensione delle persone della portata della debilitazione dei bambini palestinesi. Eppure, Musk dimostra un’importante verità: la morte è galvanizzante. Quanti occidentali conoscono i nomi di più palestinesi morti che vivi? Quanti trovano i palestinesi più persuasivi e accettabili come vittime quando vengono massacrati che quando resistono? Il potere della morte di risvegliare, indignare, politicizzare e spingere all’azione è ciò che costringe sia il Regno Unito sia Israele a negare consapevolmente la morte alle rispettive popolazioni in eccedenza. Entrambi gli stati mantengono queste popolazioni in condizioni di totale miseria e disperazione, in modo da essere troppo deboli per ribellarsi, rifiutando al contempo una morte che sublimerebbe la loro lotta.18 Il punto qui non è avere più martiri o più suicidi carcerari. Non desidero nemmeno che più vite siano sacrificate alla lotta rivoluzionaria. Ciò che voglio è che tutti ci chiediamo: perché attendere l’arrivo della morte per animare la nostra resistenza? Nessun altro può determinare la nostra soglia di tolleranza all’ingiustizia se non noi, il popolo. Non si sarebbe dovuti mai arrivare al genocidio e non si sarebbe dovuti mai arrivare alla detenzione di massa. Tuttavia, una conseguenza fortunata del fatto che esistano così tante somiglianze tra le condizioni di detenzione e l’occupazione israeliana è che le stesse strategie di resistenza possono essere applicate a entrambe le lotte. Nel contribuire alla liberazione della Palestina non possiamo che sfidare le logiche fallaci alla base del consenso secondo cui il carcere sia una soluzione ai problemi sociali. Allo stesso modo, nel batterci per l’abolizione del carcere, ci impegniamo a lottare per un mondo in cui nessuno possa privare della libertà un altro essere umano.

Riferimenti

1 Per saperne di più sui Filton 18 e sostenere la loro campagna per la libertà, si segua @freethefilton18 su InstagramTwitter.

Mental Health Failings at Gartree and Lewes Found After Inmate’s Death, «Converse», agosto 2024; p. 7; Prisoners are Poorly, «Inside Time», maggio 2024, p. 11; IMB Watch’: Forest Bank, Drake Hall, Guys Marsh, «Inside Time», maggio 2025, p. 15; Lives at Risk over Inaction on Prisons, says Report, «Converse», agosto 2024, p. 23; Teenager Kills Himself at Scottish Young Offender Institution, «Converse», agosto 2024, p. 33; IMB: Leicester Prison Under Pressure, «Converse», agosto 2024, p. 35; HMP Liverpool is a cluster death site ... completely inhumane, IMB Report Published: HMP Liverpool, «Converse», ottobre 2024, p. 16; HMP Ryehill: Self-Harm Cases Up 40%, «Converse», ottobre 2024, p. 33; Rochester Prison: Urgent Notification, «Converse», ottobre 2024, p. 38; HMP Durham – Risk Assessment Concerns Raised Again After Cell Suicide, «Converse», gennaio 2025, p. 39.

You Can’t Visit Him Today, He’s Dead, «Inside Time», maggio 2024, p. 15; We’ve Lost Your False Leg, «Inside Time», ottobre 2024, p. 11; The Mount: Third Critical Death Report in Three Months, «Converse», ottobre 2024, p. 10; Woman Told Officers She Felt Suicidal, «Inside Time», novembre 2024, p. 14; Naked Barking Man Wasn’t Treated, «Inside Time», febbraio 2025, p. 14; A Deadly Diagnosis: If You Have Cancer in Prison, You’re More Likely to Die From It, «Inside Time», febbraio 2025, p. 16; No Help for Self-Harmers, «Inside Time», maggio 2024, p. 2; Not a Place for Disabled Prisoners, «Inside Time», maggio 2024, p. 4; Hopeless Healthcare, «Inside Time», maggio 2024, p. 9.

Endless Bang-up, Inside Time, novembre 2024, p. 26; The Figures Say It All, «Inside Time», novembre 2024, p. 26.

5 Non è il suo vero nome.

6 Altro pseudonimo.

7 Purtroppo, questa sembra essere una prassi. Un detenuto di HMP Parc testimonia che “l’assistenza sanitaria è un completo disastro: sospendono gli antidolorifici e prescrivono metadone”; No structure here, «Inside Time», novembre 2024, p. 6.

8 L’infermiera ha commesso un “errore di valutazione”, in quanto “ha ritenuto erroneamente che avesse assunto droghe”; Prisoner Died After Nurse Called Off Ambulance, «Inside Time», febbraio 2025, p. 15.

One in five prisoners has type 2 diabetes, «Inside Time», 31 dicembre 2024, https://insidetime.org/newsround/one-in-five-prisoners-has-type-2-diabetes/#:~:text=The%20data%2C%20released%20to%20The%20Times%20following%20a,sugar%20in%20the%20blood%20to%20become%20too%20high. Consultato l’11/05/2025.

10 “Quindi, unità israeliane addestrate appositamente sparano in modo calcolato allo scopo di rendere le persone invalide, mantenendo basso il numero di palestinesi uccisi”; Tanya Reinhart, Israel/Palestine: How to End the War of 1948, p. 114. Puar, citando Reinhart (p. 113): “Nel 2002, la linguista israeliana Tanya Reinhart ha analizzato ‘la politica delle ferite’ durante la Seconda Intifada… Citando interviste con soldati delle IDF del Jerusalem Post, seleziona un esempio rappresentativo del tiratore scelto israeliano, il sergente Raz… che afferma: “Ho sparato a due persone… alle ginocchia. L’obiettivo è rompere loro le ossa e neutralizzarli, ma non ucciderli’”, Jasbir K. Puar, The Right to Maim, p. 131. “Una delegazione di Physicians for Human Rights ha concluso che “i soldati israeliani sembravano mirare deliberatamente alla testa e alle gambe dei manifestanti palestinesi, anche in situazioni che non mettevano in pericolo la vita’”; Ephron, «Boston Globe», 4 novembre 2000, citato in Jasbir K. Puar, The Right to Maim (Durham, Carolina del Nord, USA: Duke University Press, 2017), p. 131. “Durante la Seconda Intifada, furono riportati casi in cui le IDF utilizzavano proiettili ‘ad alta velocità’ di frammentazione che creavano un effetto di ‘tempesta di piombo’ nel corpo, frammentando il proiettile e generando molteplici ferite interne… I proiettili dumdum, vietati dal diritto internazionale in materia di diritti umani, sono difficili da estrarre dopo che sono entrati ed esplosi all’interno del corpo e di solito garantiscono che chi viene colpito ‘soffrirà per tutta la vita’”, Puar, The Right to Maim, p. 131.

11 Puar, The Right to Maim, p. 221.

12 Puar, The Right to Maim, p. 139.

13 Puar, The Right to Maim, p. 141.

14 Peter Cuthbertson, Who goes to prison? An overview of the prison population of England and Wales, «Civitas», dicembre 2017, p. 2. https://www.civitas.org.uk/content/files/whogoestoprison.pdf

15 Abolition of short custodial sentences, The Suntory and Toyota International Centres for Economics and Related Disciplines, https://sticerd.lse.ac.uk/case/new/research/Inequalitiesand_Poverty/policy-toolkit/crime-short-custodial-sentences.asp. Consultato l’11/05/2025.

16 Jamie Greierson, Prison suicide rate is a scandal, says HM chief inspector, «The Guardian», 9 luglio 2019, https://www.theguardian.com/society/2019/jul/09/jails-slow-react-deluge-of-drugs-hm-chief-inspector. Consultato l’11/05/2025.

17 Elon Musk, citato in Elon Musk: War, AI, Aliens, Politics, Physics, Video Games, and Humanity | Lex Fridman Podcast, Lex Fridman, 9 novembre 2023, https://www.youtube.com/watch?v=JN3KPFbWCy8. Consultato l’11/05/2025.

18 Per una testimonianza straziante sulla convinzione che la morte possa catalizzare un cambiamento, si veda Prisoner Hoped Suicide Would Change IPP Policy, «Inside Time», ottobre 2024, p. 12.

Available in
EnglishSpanishPortuguese (Brazil)GermanFrenchItalian (Standard)ArabicHindiRussian
Author
Madeleine Norman
Translators
Miriam Chiaromonte, Marta Frau and ProZ Pro Bono
Date
05.12.2025
Source
Original article🔗
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