War & Peace

Le azioni di Israele colpiscono i fondamenti del diritto internazionale

L'ordine mondiale si sta sgretolando mentre le grandi potenze consentono a Israele di violare il diritto internazionale a Gaza.
La sistematica violazione del diritto internazionale a Gaza, sostenuta dalle grandi potenze, ha gravemente minato la Carta delle Nazioni Unite e i suoi principi fondanti. Nonostante le sentenze della Corte di giustizia internazionale e i mandati di arresto della Corte penale internazionale, l'impunità persiste e alcuni stati si sottraggono apertamente alla responsabilità giuridica. In risposta, il neocostituito Gruppo dell'Aia, che comprende Bolivia, Colombia, Cuba, Honduras, Malesia, Namibia, Senegal e Sudafrica, si è impegnato a difendere il diritto internazionale, impedendo alle navi che trasportano forniture militari a Israele di utilizzare i porti dei paesi membri e bloccando ogni trasporto di armi verso Israele.

Pubblicato originariamente il 25 febbraio 2025 sulla rivista Foreign Policy 

Cosa rimane dell'ordine internazionale? Da oltre 500 giorni Israele viola sistematicamente il diritto internazionale a Gaza, grazie al supporto di grandi potenze che forniscono copertura diplomatica, materiale bellico e sostegno politico. Questa complicità ha inferto un colpo devastante all’integrità della Carta delle Nazioni Unite e ai suoi principi fondanti: i diritti umani, l’uguaglianza sovrana e il divieto di genocidio. Un sistema che permette l'uccisione di circa 61.000 persone non è semplicemente in procinto di fallire: è già fallito.

Le prove, trasmesse in streaming ai nostri smartphone e valutate dai massimi tribunali mondiali, sono inequivocabili. Dal parere consultivo della Corte internazionale di giustizia sull'occupazione illegale dei territori palestinesi da parte di Israele, ai mandati di arresto emessi dalla Corte penale internazionale (CPI) per le massime autorità di Israele, fino alle misure preliminari adottate per il caso della Convenzione sul genocidio presentato dal Sudafrica, le azioni di Israele costituiscono chiare violazioni del diritto internazionale.

Eppure, nonostante queste sentenze, le violazioni persistono, rese possibili da nazioni che sfidano sfacciatamente i più alti tribunali del mondo: con sanzioni a funzionari, impiegati e agenti della CPI, nonché un aperto sprezzo degli ordini della Corte.

La recente proposta del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di "assumere il controllo" di Gaza (ossia la sua annessione seguita dalla pulizia etnica della popolazione palestinese, che Trump ha suggerito di deportare in Egitto e Giordania) colpisce i fondamenti stessi del diritto internazionale, che la comunità globale ha il dovere di difendere. Tali azioni, se perseguite, costituirebbero una grave violazione del diritto internazionale e dei principi fondamentali sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite.

L'attacco contro il popolo palestinese rievoca capitoli oscuri della storia dei nostri paesi: il Sudafrica sotto l'apartheid, la Colombia durante la controinsurrezione e la Malesia sotto il dominio coloniale. Queste lotte ci ricordano che l'ingiustizia è una minaccia per la giustizia ovunque essa avvenga. Anche se proveniamo da continenti diversi, condividiamo la convinzione che la compiacenza equivalga alla complicità in tali crimini. Difendere il diritto inalienabile del popolo palestinese all'autodeterminazione è una responsabilità collettiva.

Nel settembre 2024, l'Assemblea Generale dell'ONU ha adottato una risoluzione storica che delinea gli obblighi giuridici degli stati a garantire la fine dell'occupazione illegale da èarte di Israele, con i voti a favore di una schiacciante maggioranza di 124 nazioni, sottolineando l'imperativo di “accertare le responsabilità per tutte le violazioni del diritto internazionale, al fine di porre fine all'impunità, garantire la giustizia, scoraggiare future violazioni, proteggere i civili e promuovere la pace.”

Per questo motivo, insieme a Bolivia, Colombia, Honduras e Namibia, abbiamo lanciato il Gruppo dell'Aia, una coalizione impegnata a intraprendere un'azione decisiva e coordinata nel perseguire la responsabilità per i crimini di Isralede.

I tre impegni all'inaugurazione del Gruppo dell'Aia sono dettati da due priorità: porre fine all'impunità e difendere l'umanità.

I nostri governi ottempereranno ai mandati di arresto emessi dalla CPI contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l'ex ministro della Difesa Yoav Gallant, sottolineando l'importanza di indagini e procedimenti giudiziari appropriati, equi e indipendenti a livello nazionale o internazionale. Impediremo alle navi con forniture militari per Israele di utilizzare i nostri porti e bloccheremo tutti i trasferimenti di armi che potrebbero consentire ulteriori violazioni del diritto umanitario.

In un mondo interconnesso, i meccanismi dell'ingiustizia si annidano nel tessuto delle catene di approvvigionamento globali. Gli armamenti avanzati non si possono costruire senza metalli, componenti, tecnologia e reti logistiche che si estendono attraverso interi continenti. Coordinando le nostre politiche, miriamo a costruire un baluardo per difendere il diritto internazionale.

L'obiettivo di queste iniziative non è quello di minare il multilateralismo, bensì di salvarlo. Così come in passato la comunità internazionale si unì per smantellare l'apartheid in Sudafrica, attraverso una pressione legale, economica e diplomatica coordinata in modo analogo, adesso dobbiamo unirci per far rispettare le leggi internazionali e proteggere l'inalienabile diritto del popolo palestinese all'autodeterminazione. L'alternativa è arrendersi a un mondo in cui solo la forza determina quali leggi contano e quali altre si possono violare a piacimento.

La recente cessazione delle ostilità, lo scambio di ostaggi e il ritorno delle famiglie palestinesi sfollate rappresentano passi incoraggianti verso una risoluzione pacifica di questa intollerabile catastrofe. Tuttavia, il cessate il fuoco si è già rivelato fragile e urge come non mai impegnare la nostra responsabilità collettiva per assicurare una pace duratura.

Il sistema internazionale non può perdurare se viene minato da coloro che si avvalgono di veti e sanzioni per proteggere gli alleati dal controllo o usano gli aiuti e il commercio come strumenti di coercizione. La minaccia di punizioni ha lo scopo di costringere i paesi a ricorrere a continue suppliche. Non possiamo rimanere passivi ed essere obbligati a pubblicare “appelli” e “richieste” mentre vengono distrutti i principi di giustizia che sono alla base del nostro ordine internazionale.

Crediamo nel protagonismo, non nele suppliche. La scelta è netta: agiamo insieme per far rispettare il diritto internazionale oppure rischiamo il collasso. Noi scegliamo di agire, non solo per il popolo di Gaza, ma per il futuro di un mondo in cui la giustizia prevalga sull'impunità.

Facciamo sì che questo momento segni l'inizio di un rinnovato impegno per l'internazionalismo e i principi che ci legano come comunità globale.

Cyril Ramaphosa è il presidente del Sudafrica.

Anwar Ibrahim è il primo ministro della Malesia.

Gustavo Petro è il presidente della Colombia.

Varsha Gandikota-Nellutla è la co-coordinatrice generale dell'Internazionale Progressista e segretaria esecutiva del Gruppo dell'Aia.

Available in
EnglishSpanishPortuguese (Brazil)GermanFrenchArabicChinese (PRC)Italian (Standard)
Translators
Marco Ceriotti, Giovanna Comollo and Open Language Initiative
Date
24.06.2025
Source
Original article🔗
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